L’ARTE BIZANTINA

L’Arte Bizantina costituisce un vasto e complesso patrimonio artistico connesso alla civiltà di Bisanzio sotto l’Impero Romano d’Oriente. Nata da un substrato culturale, mista di tradizioni classiche e orientali, ebbe tre periodi di fioritura:
la prima età d’oro cioè il VI° secolo Giustinianeo, cui posero fine gli imperatori iconoclastici;
la seconda età d’oro dal IX° al XII° secolo, sotto la divisione macedone;
il cosiddetto Rinascimento al tempo dei paleologi nel XIV° secolo.
Sorge come arte popolare, dettata da un profondo senso religioso, diviene in seguito un’arte di corte, ben accetta dalla corte imperiale e dalla Chiesa d’Oriente ed Occidente dei confini dell’Impero, affermandosi come uno dei più grandiosi e duraturi fenomeni culturali della storia. Nonostante la sua diffusione, l’Arte Bizantina presenta ovunque singolari affinità stilistiche ed iconografiche. L’iconografia fu rigidamente vincolata ai dettami liturgici.
La massima espressione dell’Arte Bizantina in tutto il mondo fu il Mosaico.Usato fin dalla tarda romanità, il Mosaico, ebbe, infatti, nell’Arte Bizantina il suo massimo splendore a cominciare dal VI° secolo, con la decorazione ravennate di S. Apollinare nuovo e San Vitale. Ma esaminiamo, in modo più particolareggiato, il primo periodo.
Abbondanti sono i documenti, sia monumentali che letterari, circa l’Età di Giustiniano.
Numerosi edifici, mosaici, sculture del sesto secolo, quasi tutti apparentati formalmente e di eccezionale qualità, si possono ritrovare in tutto il Mediterraneo. Benché il periodo sia stato tacciato di decadenza politica, ebbe nelle Arti il suo massimo splendore, tale da essere definito come un periodo radicalmente creativo. L’ambizione di Giustiniano di glorificare il suo regno, ebbe sotto quest’aspetto, pieno successo, ed è giusto associarne i risultati al suo nome; infatti come costruttore può essere denominato il nuovo Costantino. La Chiesa di San Vitale fu consacrata nel 547, dal Vescovo Massimiano, non si sa quanti agenti di Giustiniano vi fossero coinvolti, ma è probabile che fosse concepita come monumento alla Ortodossia nella capitale del regno Ariano degli Ostrogoti. I criteri di costruzione espressi a San Vitale, vennero utilizzati ed ampiamente sfruttati a Costantinopoli, dove, GIUSTINIANO fece costruire palazzi, opere utilitaristiche e civiche, dozzine di Chiese e molti altri edifici, principalmente in stile ad archi e a cupola, riccamente cromatica, quasi orientaleggiante.

Lungo la zona del Mar di Marmora, al limite orientale della Città, i suoi predecessori avevano iniziato la costruzione del Campidoglio bizantino; in seguito, agli edifici da essi costruiti, egli aggiunse non soltanto S. Sofia, ma le parti principali del palazzo imperiale e le vicine chiese di S. Irene e di S. Sergio. Prima di salire al trono, molto probabilmente aveva vissuto in questi luoghi. In questa zona, cuore del mondo bizantino, si affermò pienamente lo stile giustineaneo. Concetto centrale di questo stile è il padiglione centrale, sopraelevato, ovvero la forma a BALDACCHINO.
I principi dell’architettura del VI° secolo, si raccolgono in questa forma, che venne usata come unità spaziale, spesso duplicata entro assi singoli o multipli e costruita in ogni dimensione. Quello che più interessa è che tale forma, espresse l’immagine emisferica del cielo all’antico simbolo a baldacchino dell’investitura divina, contemporaneamente offrendo uno spazio figurativo e funzionale attraverso e fra i suoi sostegni. Generalmente parlando, le pareti diventavano elementi casuali posti ove necessario, tra le membrature verticali e continuanti in alto, sotto gli orli rotanti delle volte. Dall’interno, l’effetto principale era quello di un insieme di involucri a guscio tra gli elementi verticali discreti. Le parti non strutturali erano pure trattate con motivi avvolgenti e ad arco. Si può dedurre, che tra le superfici in lucido marmo, bagnate di luce dalle finestre accuratamente disposte, valorizzate da centinaia di lampade, disperse attraverso un vuoto cromatico, il celebrante ed il fedele bizantino erano ospitati, nello stesso tempo, in modo riverente e sfarzoso. Verso l’epoca della sua ascesa al trono, Giustiniano, ordinò la costruzione delle Chiese dei Santi Sergio e Bacco, la cui costruzione ricorda quella di San Vitale, ma è più strettamente legata a Santa Sofia, per la forma rettangolare, per gli schemi delle colonne, ma anche per la spaziante orizzontalità romana.
E’ tipico dell’arte orientale, l’edificio con elementi di provenienza tanto disparate, quale una tecnica muraria estremamente antica, forma strutturale di derivazione romano-imperiale (le volte a spicchi e le complesse volte angolari) ed un rilievo il cui stile è insieme tardo-classico e specificatamente BIZANTINO. Ma la sintesi creativa di questi elementi data nel VI° secolo, è soltanto un aspetto di una composizione originaria, nella quale è difficile non vedere uno stadio preliminare per Santa Sofia.

 

 

Malgrado le diversità nelle dimensioni, le somiglianze tra i due edifici sono assai più significative delle differenze, e sembra probabile che esse siano opera della medesima persona.
Sia certa o meno questa ipotesi la paternità di Santa Sofia non è dubbia; per la prima volta dall’età di Augusto abbiamo la soddisfazione di sapere qualche cosa sulla vita di un architetto. Santa Sofia, la grande chiesa del Cristo come sapienza suprema, venne concepita da Antemio, come filosofia naturale e venne da lui costruita nel 532-537, in collaborazione con Isidoro da Mileto e l’imperatore Giustiniano.
La forma della Basilica era a croce greca e su ogni braccio della croce si impostava una cupola, mentre quella centrale si elevava sul quadrato formato dai bracci. La particolarità di quest’ultima cupola non consisteva tanto nell’ampiezza, ma nella tecnica dei sostegni: non poggiava su una struttura circolare come nel Pantheon, ma su pennacchi ed archi che ricordano la forma circolare della cupola su base quadrata. Mai un simile problema architettonico era stato risolto in modo così soddisfacente! L’interno era un panorama di luminose decorazioni. Marmi di molti colori, verdi, bianchi, rossi, gialli, purpurei, aurei, trasformavano il pavimento, le pareti e due sovrapposti ordini di colonne in una distesa di prati fioriti. Delicati ricami erano incisi sui capitelli, gli archi ed i timpani; ogni cornice aveva pampini e foglie di acanto. Mosaici di ampiezza e splendore senza precedenti guardavano dalle pareti e dalle volte. Quaranta candelabri d’argento pendenti dall’anello della cupola, illuminavano la chiesa come tante finestre. La lunga navata centrale e quelle laterali, lo spazio sotto la cupola centrale davano un’impressione di enorme ampiezza. Ma durante la vita di Giustiniano, vennero costruite diverse versioni di questo schema fondamentale del VI° secolo.
A Costantinopoli, Giustiniano sostituì la Chiesa dei SS. Apostoli, del IV° secolo, con un edificio assai importante, composto da elementi e padiglioni coperti a cupola, su pianta a croce, destinato ad esercitare una grande influenza; infatti si trattava della Chiesa destinata a servire da sepolcro agli imperatori, andata distrutta molto tempo fa, ma le descrizioni critiche e le fondazioni di una chiesa, simile contemporanea, San Giovanni ad Efeso, restano e non rimandano la concezione generale. Lo spazio assiale principale era costituito da quattro campate coperte a cupola, di cui la penultima sull’incrocio.

 

Intorno al complesso, compresi i bracci cupolati del transetto, correva una navatella continua. L’influenza della Chiesa dei SS. Apostoli giunse, non soltanto ad Efeso ma anche a Venezia nella Basilica di San Marco e alle Chiese romaniche a cupola dell’Aquitania.
Invece la Basilica di Sant’Apollinare in Classe, presso Ravenna, costruita verso la metà del secolo, con le sue eleganti arcate esterne e la lucida composizione architettonica, richiamano piuttosto lo stile romanico. Gli edifici principali di Giustiniano, inequivocabilmente originali, esercitarono un fascino ed ebbero influenza, non solo sull’architettura dell’impero bizantino, ma anche su quello slavo, sull’Islam, e sui paesi occidentali. Dietro questa luminosa conquista, stanno il genio di Antonio (cupola sui pennacchi pag. 7/8), e la capacità dei suoi colleghi e contemporanei compreso lo stesso Giustiniano. Santa Sofia, i mosaici di San Vitale, e l’avere salvato il diritto romano possono essere posti sull’altro piatto della bilancia, rispetto all’oscurità che le ambizioni territoriali dell’imperatore contribuirono a gettare sull’esausto mondo mediterraneo. Tuttavia la massima fioritura di questa arte si ebbe del secolo XI° al secolo XII°, quando furono ornate la Chiesa di Santa Sofia di Kiew, le cupole delle chiese di Santa Sofia e di Salonicco.In condizioni assai poco favorevoli i Bizantini modellarono una cultura spirituale, e materiale, che il mondo circostante ebbe ad invidiare. Dal VI° secolo all’inizio del secolo IX°, essi furono impegnati in lotte interne ed esterne, tra le più atroci, durante le quali nacque l’impero bizantino, affermandosi anche culturalmente, già dalla nascita era una vera e propria civiltà, che condivideva con l’Islam, le rive del Mediterraneo. Il Governo e la Chiesa erano lacerati da una controversia sulla legittimità del culto e delle immagini, ed ambedue rischiarono di perire. L’impero sopravvisse perché la sua struttura romana, relativamente ordinata, venne difesa con sforzi eroici e riparata per via di compromessi e di accordi. Le istituzioni bizantine erano considerate garantite e governate da Dio, e presiedute dall’imperatore, e in ogni aspetto della loro vita si rifletteva questa dottrina.( volta a crociera pag . 8-9). In antitesi con l’arte classica, volta a rappresentare e valorizzare la realtà fisica, l’arte Bizantina, allude ad una realtà ultraterrena, mediante l’adozione di immagini altamente ideali, fuori dal tempo e dallo spazio e la connessione di significati simbolici ed emblematici con forme e figure anche nel campo architettonico.

Fondamentali mezzi di espressione dell’Arte Bizantina furono il colore, vivo e luminoso, che suggerisce l’incanto, di un mondo pervaso dalla luce di Dio e lo spiegamento prospettico delle figure che ne distrugge il peso ed il volume, isolandole in una visione maestosa.
La Chiesa, almeno teoricamente, era ritenuta solo uno degli aspetti della società senza una autorità indipendente rispetto a quella dello Stato. In linea generale, il Palazzo e la Chiesa cooperarono attraverso i secoli, mentre l’autorità legale rimase al Palazzo. Dopo la morte di Giustiniano, la costruzione delle chiese cessò, e per tre secoli il palazzo fu l’unico elemento realmente importante e degno di essere tenuto in considerazione. Tra questi solo due emergono sia architettonicamente che artisticamente.
Il primo il CRYZATICLINAS, che era la sala per le udienze, del VI° secolo, ricca di mosaici dorati, con pianta ottagonale ed illuminata da sedici finestre della cupola, e nella cui abside, ospitava il trono. Il secondo, era la chiesa di Nostra Signora del Foro.
In realtà tutte le chiese edificate a Costantinopoli, dopo questa, per venti secoli successivi si basavano, su principi classici di armonia conforme e precisa tra le parti e sulla configurazione di una architettura alta (pag. 9-10 volta a botte).
Molte di queste chiese sono rimaste, ed oggi anche se alterate dalle nuove costruzioni turche, si possono dedurre i principi dello stile bizantino. Alti tamburi che creavano profili di maggiore verticalismo, divennero la norma. Gli esterni erano lavorati o in mattoni murati con malta colorata, o in fasce alternate di mattoni e pietra. Alte e strette nicchie scavavano queste superfici, alleggerendo la massa delle pareti e sottolineandole linee verticali del disegno. Le linee di gronda venivano accentuate da ricche articolazioni di terracotta, opportunamente modellate, e da mattoni disposti diagonalmente secondo un sistema che ricorda la Chiesa di San Vitale. La Chiesa del X° secolo, pare si riferisca al monastero MYRELAIAN, come esempio sia dello stile di quest’epoca in generale, sia dall’alto grado di individualità che normalmente vi ritroviamo. Qui i quattro sostegni centrali, sono pilastri ed i bracci della croce come i bassi ambienti di risultanza sono voltati a lunette. Tanto il tamburo che la cupola, si costituiscono all’interno di pannelli concavi, che nella zona del TAMBURO sono traforati alternativamente da finestre, e spalleggiati da contrafforti a sezione triangolare.

 

Riappare l’interesse per la modellazione dell’esterno.(pag. 10-11, cupola su trombe, sezione). L’edificio è rafforzato dai contrafforti addossati a sezione ricurva che, sebbene sottolineino la minore verticalità composta, sono legati da un leggero ricorso orizzontale che armonizzano con levità le superfici inflesse. Le forme interne dell’edificio, risultano, come precedentemente all’esterno, ma sono divenute ora il meccanismo, attraverso il quale si sviluppa una architettura esterna.
Come in tutta l’arte bizantina, l’effetto di queste chiese era di una eleganza sontuosa, brillantemente connessa con forme simboliche, al cui interno erano racchiusi gli spazi fluorenti, su un involucro di colore, che si aprivano come scrigni all’occhio del visitatore. Malgrado i caratteri di oscuro significato, l’arte bizantina, influì profondamente sulle vicende artistiche del Medio Europeo, particolarmente in Italia.


L’ARCHITETTURA BIZANTINA

L’architettura Ravennate che conobbe tra il V° e VI° secolo, il suo maggiore splendore, ebbe il suo punto di partenza nelle costruzioni paleocristiane romane, delle quali tuttavia diede un originale interpretazione, prima di aprirsi al diretto flusso dell’Oriente Bizantino. La maggiore novità degli edifici di Ravenna consisteva, soprattutto nello stretto rapporto di reciproca integrazione, tra elementi costruttivi e la decorazione a mosaico; il cui smagliante COLORISMO finì col disgregare negli interni, la nitida configurazione spaziale, di eredità classica che ancora traluceva nelle basiliche costantiniane. Già nella cattedrale dovevano manifestarsi, alcuni tipici elementi del gusto ravennate: la configurazione poligonale dell’esterno dell’abside, che internamente restava semicircolare e l’uso del pulvino, una membranatura a tronco di piramide, inserita a guisa di cuscino tra le sommità dei capitelli e la base degli archi, che interrompeva la organica classica continuità delle strutture portanti, ne veniva accentuato il valore decorativo e lineare della successione delle arcate, la cui curvatura acquistava un particolare risalto disimpegnandosi dai sottostanti elementi verticali, per muovere invece da una breve fascia orizzontale, spesso ornata da ricchi intagli.

Nelle costruzioni Bizantine, la colonna acquista un tipico carattere funzionale: essa è snella nella sua proporzione, il fusto è quasi sempre cilindrico e la mancanza di scannellature valorizza la policromia dei marmi preziosi, in gran parte derivanti dalle costruzioni romane (pagina 12-13 colonna bizantina). Ambulacri, matronei, vani e passaggi vengono ricoperti da volte, generalmente a botte, a crociera e a vela. I grandi archi absidali e le esedre rivelano la poca esattezza dell’arte edile bizantina; ma, ad attutire la loro indecisione, giova l’arrotondamento degli spigoli e la abbondante ricchezza dei fregi sovrapposti.
Il grande vano centrale è coperto dalla cupola, che rappresenta l’elemento portante dell’edificio bizantino, e che è impostata su pianta quadrata o poligonale, ed il passaggio
dai piani d’imposta alla volta emisferica è ottenuto con pennacchi, cuffie o sovrastrutture e raccordi, elementi che caratterizzano quest’arte. In Italia, nelle costruzioni bizantine, la cupola è formata da una volta a vela con calotta rialzata, ed alleggerita dall’uso tradizionale di telai a vuoti interni, col procedimento delle anfore vuote, l’una infissa nell’altra, che costituiscono filari a spirali sempre più chiuse, sino a raggiungere l’apice della volta, poco resistente e rafforzata da una sopraelevazione dei muri di sostegno che formano il tiburio.
Possiamo dedurre, che le costruzioni ravennate (basiliche, mausolei, battisteri), prepararono la base a quella teoria delle spinte, che da una rudimentale applicazione nelle chiese, condusse alla perfezione del calcolo, nelle costruzioni gotiche.

IL DOMINIO BIZANTINO IN SICILIA

Nel 535 le armate dell’impero d’Oriente sbarcarono in Sicilia conquistandola molto facilmente, infatti dalla metà del 500, per oltre un secolo la nostra terra, fruì di un periodo di pacata tranquillità, che rallentò, ma non fermò il suo processo di decadimento.
L’influenza bizantina, si comincia a ripercuotere sulla vita dei Comuni, si orientalizza tutto, la lingua, i modi di fare… Il potere è nelle mani dei burocrati imperiali che deprimono le prerogative municipali, e versano l’isola in un esoso fiscalismo.

La proprietà terriera passa nelle mani dell’Imperatore e della Chiesa, che proprio in questo periodo si organizza saldamente nell’Isola. Essa è spesso in accordo, ma a volte in contrasto, con l’autorità imperiale e polarizza le numerose masse di fedeli che rifiutano, nel solco della tradizionale concretezza della tradizione pagana, l’astrattismo della ortodossia orientale. Dagli inizi del secolo VIII°, i musulmani dell’Africa, depredano la nostra terra, con lunghe e sanguinose lotte, e finalmente nell’anno 827, la conquistano definitivamente, provocando un lento disgregamento delle maggiori comunità urbane, che si spopolano e spariscono. Restano solamente, dei villaggi isolati, ma sicuri perché arroccati in luoghi quasi inaccessibili.
Lo splendore dell’arte bizantina, specie nel VI° secolo, non tocca la Sicilia, dove alle esigenze del culto, si ricostruiscono i vecchi templi pagani, si scavano, si costruiscono santuari, le cui modeste proporzioni, con umili ornamenti pittorici, testimoniano la povertà della popolazione.
Le piccole chiese di costruzione bizantina, fino a noi sopraggiunte, attestano l’incertezza e l’empirismo di una cultura architettonica periferica, la cui fondamentale tendenza è verso l’edificio a pianta centrale, tipico di un filone orientalizzante dell’architettura tardo-romana, tendenza documentata dalle “CELLAE TRICHARAE”, volgarmente dette cube, dalle chiese circolari, da quelle a croce greca inserita in un quadrato. Anche le chiese basilicali, presentano spesso notevoli anomalie, che le differenziano da quelle tipiche, dell’architettura Paleocristiana Romana.


IL MOSAICO IN SICILIA

Consolidata la conquista della Sicilia e proclamata nel 1130 la monarchia, i principi normanni, smisero l’abito crociato di avventurosi guerrieri, e presero a gareggiare, una volta che i sogni dell’impero o ragioni di opportunità politica, li avevano portati a stringervi rapporti, con il fasto della corte bizantina.
Ne trassero vantaggio oltre i loro palazzi scelti o costruiti come loro dimora, le chiese della capitale e degli immediati dintorni, a cui il re, in special modo Ruggero il

Secondo, Guglielmo il Secondo ed alti dignitari della corte, come Giorgio di Antiochia, vollero rimanesse legato il proprio nome.
Nessuna delle Chiese grandi o piccole, annesse a fondazioni monastiche, o isolate nei centri via via restituiti alla fede cristiana, nacquero nel periodo della conquista o durante il governo di Ruggero I°. Anzi per quel che sappiamo si ebbe una decorazione musiva. Nei centri ove le memorie degli insediamenti bizantini, avevano attraversato gli stessi secoli della dominazione musulmana, pittori, legati al monachismo siriano e microasiatico ed informati di qualche novità dal giro dei codici miniati, (come lo dimostrano l’iconografia e la tecnica), avevano impiegato le loro deboli forze ad apporare con immagini rigide di linee, ma spesso dai colori vivaci, i muri presbiteriali, o le absidi delle piccole chiese ai loro modesti cenobi, o le piccole cappelle votive, isolate nelle campagne. Tale usanza infatti era praticata regolarmente dai bizantini, come lo dimostrano i resti di alcune pitture prenormanne (la Chiesa di San Domenico, presso Castiglione; la Chiesa del SS. Salvatore, in Rometta, la cripta della Chiesa di San Marziano in Siracusa).
Una pratica in ritardo ed inadeguata per unire il vecchio al nuovo, tanto più che il gusto della Corte, - ora che il fragore delle armi si era spento, con il gusto della vittoria, e la monarchia, cresciuta di potenza, si era affermata sia nell’Impero d’occidente, che in quello d’Oriente ed anche nello stesso papato - mirava al grandioso ed alla fastosità, quindi ad allargare mediante l’azione politica il mondo culturale. E’ infatti con il secondo Ruggero, e cioè con il primo Re, che le Chiese Siciliane in special modo quelle palermitane, cominciano a rivestirsi di mosaici in situ, come avvenne per la tessitura d’arte dell’officina palatina, che non ha affatto origini arabe, come si credeva fino a pochi decenni fa, e che proprio in questo periodo era al centro del prestigio, con il

I MOSAICI PIU’ ANTICHI DELLA SICILIA

L’Arte Bizantina, nelle sue forme più auliche, ha una documentazione molto importante nel nucleo più antico di mosaici e miniature delle chiese siciliane, quali la Cappella Palatina, la Chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio, la Cattedrale di Cefalù, ed infine, ma certamente non per importanza, quelli che decorano le pareti, (quelli del

 

soffitto sono più antichi), della “Sala di Re Ruggero”, nel Palazzo Reale, ed in quelli che decorano la volta a crociera nella Cattedrale di Cefalù.
La decorazione di Monreale, (eseguita tra il 1180 ed il 1190), la più vasta realizzata, da maestranze bizantine, in ogni tempo ed in ogni luogo, anche se sul piano iconografico, appare in gran parte prefigurata da quella della Cappella Palatina, e meglio ancora dalle parti di quest’ultima avviate al tempo di Guglielmo I°, quando in connessione come avveniva nell’architettura, per la mediazione della cultura campana, pensieri e modi occidentali, incominciarono ad influenzare il tessuto orientale dell’arte siciliana, come lo testimonia pure il nuovo afflusso di maestranze bizantine in Sicilia legate al giro della cultura nella età tardo-commena.(pag. 78-79).
L’agevole confronto tra le analoghe scene di due cicli corrispondenti, ad esempio quelle tratte dal Vecchio Testamento, dimostra che dai mosaici della Cappella Palatina a quelli del Duomo di Monreale non vi è alcun passaggio, ma pare impossibile postulare, come ha notato il Kitzinger, studioso dei mosaici siciliani, una continuità nello sviluppo dei modi stilistici. In confronto ai modi ancora aulici e classicheggianti, se pur relativamente narrativi, dei Mosaici della navata della Cappella Palatina, alla loro ornamentale staticità, efficacemente assecondata dal gioco continuo delle linee. Al contrario le scene di Monreale sono caratterizzate dal ritmo intenso e vivace, dalla frammentazione delle linee, dal risalto dei colori non più stesi in zone locali statiche e circoscritte, per un inserimento più organico nelle vaste sfere architettoniche, sicchè queste ultime sembrano pensate per accogliere la decorazione musiva e nello stesso tempo essere esaltate, mentre la decorazione per essere inserita nell’architettura e da questa a sua volta valorizzata e messa in evidenza. Per la prima volta in Sicilia si usa la Decorazione, sulla scia delle decorazioni orientali-greche, anche se non resta alcun monumento a testimonianza di tutto ciò, ma possiamo affermare che in tutto il mondo la cultura Bizantina, ebbe sempre le stesse ispirazioni, come fenomeni che possono spiegarsi solamente con un irraggiamento di unioni metropolitane; unioni che nei mosaici di Monreale si saldano con quelli della cultura campana, convalidando anche per questo il fenomeno che si avverte nell’Architettura, in un momento in cui nella Corte Palermitana avevano ruolo di primissimo piano, uomini come Romualdo Salernitano e Matteo d’Aiello, che si erano formati nella scuola Cassinese dell’Italia meridionale (pag.79-80).
Nell’Architettura infatti, proprio in questo momento si avverte il declino delle più antiche forme di ascendenza orientale, araba e bizantina, e l’influsso di forme campane che si manifestano non solo nella ripresa degli impianti latini, ma anche e soprattutto nella vistosa decorazione coloristica, che decanta e trasfigura le antiche architetture composte su modelli di speculata geometria, conferendo un nuovo carattere, più ornato e movimento all’assesto delle nuove costruzioni. (pag. 80-81).

LIMITI CRONOLOGICI DEI PIU’ANTICHI MOSAICI DELLA SICILIA

L’attività dei maestri bizantini in Sicilia si può scindere in due grandi e diversi periodi.
Quello più antico, e cioè il momento di cui dobbiamo occuparci, secondo fonti storiche, si conclude nel giro di un decennio, infatti l’iscrizione della fascia musiva che riquadra alla base la Cupola della Cappella Palatina, testimonia che la sua decorazione venne portata a compimento nel 1143, anno in cui fu ultimata la decorazione della Chiesa dell’Ammiraglio; mentre i mosaici sottostanti e quelli che ornano il presbiterio non superano come data il 1154, anno di morte del Re Ruggero. Per quanto riguarda i mosaici dell’abside di Cefalù, secondo le date iscritte negli stessi, risalgono al 1148, mentre quelli di una delle volte a crociera, sono stati eseguiti successivamente, ma sempre all’età Ruggeriana. Il complesso dei mosaici siciliani si include in due momenti ben distinti nella loro cronologia. Il gruppo più antico è quello di età ruggeriana ed ha l’epilogo in alcune zone dei mosaici del presbiterio della Cappella Palatina ed in quelli delle volte di Cefalù. Il secondo gruppo invece, avviato durante il Regno di Guglielmo il Primo, ha la sua manifestazione più eclatante nei mosaici del Duomo di Monreale. I caratteri dei due gruppi sono diversi, ma nella loro diversità trovano un punto di passaggio nei mosaici della navata centrale della Cappella Palatina, per gli accenti che richiamano ancora quelli più antichi e per l’assetto che, sul piano iconografico prelude a quelli più avanzati. A questo stesso periodo risalgono i mosaici della Sala di Re Ruggero, dove secondo alcuni studiosi, in particolar modo il Bettini, si nota un riflesso delle

 

attività delle “Botteghe di Palazzo di Bisanzio”, mentre sono scomparse le decorazioni delle metropoli. L’unica testimonianza rimasta a documentare la grandiosità dell’aspetto profano dell’arte bizantina, è un insieme di umori e di motivi musulmani. Per quanto riguarda lo stile, i mosaici della “Sala di Ruggero”, sembrano inserirsi nella linea che dai riquadri delle “feste”, del presbiterio della Cappella Palatina, porta alle scene tratte dal vecchio testamento nella navata centrale, di entrambi si notano sempre di più gli accenti lineari sempre più statici, per la ripresa delle antiche composizioni e per l’esclusione di ogni indicazione spaziale; cosicché le figure verranno eseguite solamente di profilo, mentre gli alberi acquistano un carattere di favolosa staticità.

ORDINAMENTO E SVILUPPO DEI MOSAICI IN SICILIA

La prima e più importante parte dei mosaici delle Chiese siciliane venne eseguita tra il 1140 ed il 1154. Spesso si lavorava contemporaneamente in Chiese diverse con l’impiego di varie maestrie e maestranze, che avevano in comune un certo ambiente culturale; ma anche se erano maestranze diverse, unico era il criterio che servì da guida per la decorazione all’inizio limitata, solamente alla zona del santuario ed a quella del portico, dove furono incluse anche le figurazioni votive e dedicatorie, cioè figure non liturgiche.
Il gruppo dei mosaici delle Chiese siciliane, a prescindere dalle generiche somiglianze dell’ordinamento iconografico, ha poco in comune con gli altri mosaici metropolitani; infatti essi si riattaccano all’orientamento che si suole definire “aulico”, che è l’ordinamento riecheggiato dai mosaici di Dephui. Purtroppo alcuni dei passaggi attraverso i quali, dai mosaici greci, si è arrivati ai mosaici siciliani, rimangono ignoti. Il loro ordinamento varia secondo la conformazione dell’edificio, ed in alcuni casi si ha l’impressione di essere in presenza di un nuovo mondo, più astratto ed immoto, ma senza dubbio più armonico e mondano. L’unico elemento di derivazione orientale, è costituito dalla solenne e ed inaccessibile figura del Pantocrator; le altre figure e le altre scene hanno un tono meno distaccato, ed anche se, con una più ampia vastità dell’oro, e varietà cromatica sembrano delle novità di antichi tempi.

La disposizione liturgica, viene subordinata al colore, infatti le scene anche se disposte nello stesso asse architettonico, rivestono un particolare nuovo effetto cromatico, in particolar modo in alcune zone.
Nelle Chiese Siciliane, l’ordinamento iconografico corrispondente, è quello, anche se realizzato in modo più scadente, della Chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio, e poi con una più perfetta adeguazione all’impianto basilicale, nella Cattedrale di Cefalù e nell’abside del Duomo di Monreale. Nella Chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio, la DECORAZIONE, si sviluppa maggiormente sui toni dorati. Nell’abside centrale della Cattedrale di Cefalù ed in quella del Duomo di Monreale, invece si ritorna ai toni pre-macedoni, cioè marcando la severità del Pantocrator, che si assesta nei catini delle due absidi.
A Cefalù, la teoria degli otto Apostoli sotto la fascia che ha nel centro, la Vergine Orante, simboleggia la Chiesa Terrestre ed insieme il Sacramento dell’Eucaristia, tale concezione iconografica è pure presente nel piano della decorazione della Cappella Palatina; dove si va oltre degli esempi avanzati della Chiesa dell’Ammiraglio e della cattedrale di Cefalù. La decorazione è sciolta architettonicamente, riveste le strutture e le pareti a guisa di un tappeto di fiori colorato, in pratica si usa un modo di decorazione autonomo dai vecchi schemi, dando quindi per la prima volta, una visione libera e moderna dell’arte.

LA CAPPELLA PALATINA DI PALERMO

La Cappella Palatina o Real Cappella, dedicata a San Pietro, fatta costruire da Ruggero il Secondo subito dopo la sua incoronazione, nello stesso posto dove ne sorgeva un’altra, dedicata a Santa Maria di Gerusalemme, forse fatta edificare dal padre Roberto il Guiscardo. Fu arricchita in vari tempi di preziosi mosaici, del meraviglioso soffitto ligneo, di sculture ed arredi funzionali; ma tutto l’insieme decorativo e costruttivo, era già compiuto alla fine del regno normanno. Architettonicamente la Cappella Palatina, rappresenta la sintesi tra varie tendenze centralizzanti della cultura e tradizione bizantina, maggiormente evidenti nella zona del presbiterio, sormontata dalla

cupola sul transetto, con forma longitudinale della tradizione latina, espressa dalle tre navate suddivise a loro volta da archi su colonne e capitelli di gusto neoclassico. Se si tiene conto delle larghe ogive delle arcate, delle nicchie angolari a forti riseghe sotto la cupola, del soffitto ligneo dipinto ed intagliato è evidente che alla cultura e tradizione latino-bizantina, sopra detta si
aggiunge anche quella araba, accordandosi con le altre manifestazioni morfologiche, in un insieme stilistico di piena fantasia e coerenza.
Nell’ordinamento e nel linguaggio dei mosaici, che coprono letteralmente le pareti, si fondono rigide esigenze simbolico-liturgiche, già viste precedentemente, con profani interessi estetici, propri dell’ambiente che i guerrieri normanni vollero crearsi intorno, dopo i contatti, con la civiltà bizantino-araba, avuti in Sicilia, Grecia ed Africa .(PAG.92-93).
Al sommo della Cupola troviamo il busto del Pantocrator benedicente, racchiuso in un cerchio dorato su cui risalta la leggenda tratta da Isaia: “IL CIELO E’ IL MIO TRONO, LA TERRA LO SGABELLO AI MIEI PIEDI”. Il Pantocrator, che secondo il Pavlowsky, vorrebbe rappresentare l’Ascensione, è attorniato da quattro angeli e quattro arcangeli, raffigurati in un anello grande quanto l’imbotte della cupola. Ai margini del tamburo vi sono otto figure di Profeti, ed altri sei, tre per lato, se ne vedono nei tondi che decorano il campo al di sopra delle arcate sorreggenti la Cupola; nelle nicchie angolari di raccordo vi sono le figure degli evangelisti alternate a quelle di David, Salomone, Zaccaria e del Battista, poste nelle quattro facce del tamburo in altrettante
edicole. Le figure dei profeti sono tutte in relazione fra loro e rappresenterebbero la Chiesa nei due grandi momenti dell’Aspettazione (Vecchio Testamento), e della realizzazione (Nuovo Testamento). La presenza delle due figure di Zaccaria e del Precursore nella cerchia dei profeti, confermerebbe il legame tra il Vecchio ed il Nuovo Testamento. (PAG.93-94). La parte meridionale del transetto è occupata da scene della “vita del Redentore”, introdotte “dall’Assunzione della Vergine” e dalla “Pentecoste”, “dell’Annunciazione” e della “Presentazione al Tempio” figurate sulle volte, che affiancano lateralmente la Cupola. La scena della “Natività” è mosaicata sulla parete al di sopra dell’absidiola del diacono, mentre sulla parete si vedono: “ Il Sogno” ,“ la Fuga in Egitto”, “Il Battesimo”, la “Trasfigurazione”, la “Resurrezione di Lazzaro”, l’ “Ingresso di Gesù in Gerusalemme”. Sopra la parete dell’absidiola, leggermente spostata sulla destra rispetto all’asse del catino, troviamo figurata la “Madonna

Hodigitri”, e di fronte ad essa, nell’opposta parete troviamo tre Sante della Chiesa Greca: si tratta di figure alquanto rifatte e realizzate con un tessuto di linee. In corrispondenza sulla parete del diacono, è situata la lunetta con il “PANTOCRATOR”; invece sulla parete di fronte a quella dove sono raffigurati i fatti della vita del Redentore, troviamo i Santi ed i Dottori della Chiesa Greca: San Gregorio teologo, San Basilio, San Giovanni Cristoforo nella parte centrale, ai lati San Gregorio e San Nicolò. (PAG. 94-95),
Altre due figure di Santi fiancheggiano, nell’opposta parete, l’“l’Ingresso di Gesù a Gerusalemme”. La serie continua con i Santi figurati nei medaglioni delle arcate longitudinali ed in quelli dell’arcata trionfale troviamo la “scena con S. Giovanni nel deserto”, nella zona dei santi greci, che venne eseguita nel 1840 da Rosario Riolo. Dalle figurazioni dell’abside centrale, rimangono il “Pantocrator” e qualche traccia delle figure delle immagini sottostanti. Le immagini di San Silvestro e San Gregorio, risalgono alla prima metà del 300; mentre più antichi ma restaurati, sono gli Arcangeli Michele e Gabriele, posti sulla volta in corrispondenza del “Pantocrator” e fiancheggiano la Etinosia (che sarebbe il trono occupato da Cristo nel giorno del giudizio).
Nel catino dell’absidiola, l’originario busto di San Pietro venne sostituito, nella prima metà del 500, dalla figura di Sant’Andrea, mentre dall’altro lato del catino domina il busto di San Paolo, le figure poste al di sotto dei suddetti busti sono state eseguite dal Cordini. Il Pantocrator, e San Paolo, che sono le più antiche figure rimaste originali, si contrappongono con le altre figure che come abbiamo detto sono state o restaurate, o fatte in epoche posteriori; a rafforzare questo discorso, infatti sembra improbabile che in complesso simile mancasse la Vergine Orante.
Cronologicamente parlando va detto subito che tra i vari gruppi di mosaici, vi sono differenze sostanziali.
Le figure e le scene della cupola delle absidi e del transetto (pag. 95-96), sono le più antiche, poiché l’iscrizione alla base della Cupola porta la data di ultimazione nel 1143; nel 1160, si collocano i mosaici della navata centrale, e successivamente, i fatti degli Apostoli delle navatelle.
Dello stile, non può parlarsi in senso generale, ma esclusivamente in relazione alle mani degli artisti che lo hanno eseguito, ed ai gruppi che essi vogliono rappresentare.

 

Il Pantocrator, gli Angeli e gli Arcangeli della Cupola, hanno per esempio un senso di austerità iconica definito con meticolosa esattezza delle linee, mentre tutto ciò è più sciolto negli Evangelisti, nei Profeti e nei Santi rappresentati nel tamburo.
Le feste evangeliche sono ancora più decorate con vivacismi di colori, che esprimono una quasi libertà di espressione sulle pareti del transetto destro, dove troviamo la Natività, il Cristo “lux Mundi”, la fuga in Egitto, il Battesimo, e più viva ed affascinante di ogni altra nei colori e nell’espressione, la scena con l’Ingresso in Gerusalemme cui fanno parte la Resurrezione di Lazzaro e la Trasfigurazione sul Tabor.
Molte affinità sono state riscontrate tra queste decorazioni e quelle che si trovano in altri santuari o miniature bizantine; ma qui è stata sottolineata una particolare sensibilità linearistica e cromatica che conferisce alle immagini una gaiezza di agile movimento di tinte chiare e di timbro argenteo, in particolare nella scena sopradescritta dell’ingresso di Gesù in Gerusalemme, notando il gruppo di ragazzi che stendono i mantelli sotto i piedi dell’asinello e quello che, (immagine 2) addirittura si denuda per dare il suo contributo; l’incedere ritmico del somarello, e l’armonia delle linee che costruiscono ambiente e figure, la fresca atmosfera dei colori imperniata sul verde del prato e l’argento del colle, che si pone come sfondo e collegamento dei vari gruppi di figure.
Tra le figure che possono essere attribuite allo stesso maestro della Domenica delle Palme, (SEMPRE FIGURA 2) spicca fra tutte la figura del Pantocrator sulla lunetta dell’absidiola meridionale, e confrontando quest’ultima delicata immagine con quella della cupola, salterà agli occhi la differenza che lo porterà più ad avere somiglianza all’altra figura del Pantecrator del Duomo di Cefalù.
Glia altri gruppi iconografici e stilistici più significativi, sono quelli della navata centrale, che rappresentano il Vecchio Testamento (dalla creazione alla costruzione dell’arca, nella fascia superiore delle due pareti) e cioè da Noè nell’Arca alla lotta di Giacobbe con l’Angelo, più basso nei timpani tra le arcate.
Di questi due gruppi il primo, quello nella fascia sotto il soffitto, va ascritto sicuramente al tempo di Guglielmo il Primo, mentre il resto è successivo.Rispetto al tono delle rappresentazioni nella zona presbiteriale e del transetto destro ci troviamo di fronte alla Storia della Genesi, con un linguaggio ben più descrittivo e naturalistico, forse eseguito da maestranze locali formatesi sotto la guida di quelle bizantine, giunte in Sicilia al tempo di Ruggero e che comunque richiamavano lo spirito romanico

occidentale, che si affermerà più tardi nel Monrealese, e che si esprime in termini linguistici di estrazione Bizantina.
Così ad esempio se in qualche scena come “la Creazione degli Animali”, le figure degli Uccelli, inducono a sensazioni di spazio e vivace realismo, nella maggior parte delle altre rappresentazioni, prevalgono i manierismi disegnativi e cromatici.
A tal proposito si osservino la Cacciata dal Paradiso Terrestre, la Ospitalità di Abramo ai Tre Angeli, il Sacrificio di Isacco, ed altre scene, dove all’apparente verismo delle rappresentazioni, si contrappone la forma manierata.
Nelle navate laterali, infine, la storia di San Pietro e San Paolo, forse della fine del XII° secolo, presentano un linguaggio che discende da quello biblico, della navata principale, a causa delle lumeggiare in bianco che conferiscono rilievo alle immagini.
La composizione ha ritmi più distesi ma nello stesso tempo più concentrati, come la struttura delle singole immagini.
Ne deriva un tono quasi classico e neoellenistico, che avvicina questi affreschi alla Chiesa San Demetrio a Vladimir, sicuramente di estrazione costantinopolitana.